Di Amanita Muskaria
Dal 27/09/2011 al 09/10/2011
Genere n.d.
Al Teatro Belli
Una donna bussa ad una porta. Nessuno apre.
Inizia così il viaggio terribile di una donna che sta poco a poco perdendo la memoria e la coscienza di sé stessa. Volutamente non si parla mai espressamente di Alzheimer. Il disagio della protagonista assume così un valore simbolico non strettamente legato ad una patologia fisica e proprio per questo restituisce meglio la drammaticità della sua condizione.
A rivivere e reinterpretare questo viaggio è la figlia, tornata nella stanza di sua madre, dopo la sua morte, per rimettere a posto i suoi oggetti.
Parla, chiede. Le sue domande riguardano cose che non riesce a ritrovare. E poi preghiere storpiate, canzoncine popolari, parole in inglese e frammenti di lettere che sta provando a scrivere (ai suoi figli, a sua sorella in Argentina) nelle quali chiede disperatamente che qualcuno la porti via. La sua memoria frammentaria va via via perdendosi sempre di più. Le rimangono soltanto dei sentimenti semplici: paura, rabbia, angoscia.
Il linguaggio che usa non è omogeneo, infatti riflette i vari momenti della sua vita. E poco a poco si disintegra, le parole sono confuse, o sono solo sillabe. Tenta di scrivere con una forchetta, non si ricorda più quanti figli ha. Memoria, identità e linguaggio sono fattori indivisibili.
La porta si aprirà solo alla fine. Solo dopo aver compreso che siamo noi che viviamo accanto ai malati, a tenerla chiusa.
Dopo il grande successo ottenuto in tutta Europa è arrivato in Italia, accolto da un consenso unanime nelle recite di Roma, Milano e Napoli, uno dei testi più celebrati della nuova drammaturgia polacca.