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Di Luigi Pirandello

Dal 04/01/2012 al 10/02/2012

Genere N.d.

Al Teatro Argentina
Tutto per bene

Andato in scena per la prima volta il 2 maggio del 1920 al Teatro Quirino di Roma con la compagnia di Ruggero Ruggeri, Tutto per bene è un punto di snodo cruciale dell'intera parabola drammaturgica pirandelliana. Con esso l'autore codifica una volta per tutte la cifra del suo teatro maggiore, la «rappresentazione d'un dramma, quand'esso è già da gran tempo finito»: Pirandello procede post factum e ciò gli consente di scovare gli indizi della realtà nascosti en abîme nella rappresentazione di essa, la «radice del vero» nel "giallo" paradossale che gli uomini, maschere, mettono in scena, illudendosi di vivere.

Quanto illusoria sia stata la realtà, Martino Lori, il protagonista della pièce, lo scopre con la drammatica leggerezza con cui le tragedie irrompono nel quotidiano: dopo aver passato l'esistenza a coltivare con esasperante cocciutaggine la memoria - delicata e appassionata insieme - della moglie defunta, aggrappato all'amore per quello che egli crede il frutto della loro unione - la figlia Palma -, scopre proprio da quest'ultima, da molti anni depositaria della verità dei fatti, d'essere stato tradito con quello che ha sempre ritenuto un amico e, per giunta, di non esserle padre. «Tutto rovesciato; sottosopra. Sì. Il mondo che ti si ripresenta tutt'a un tratto nuovo, come non ti eri mai neppure sognato di poterlo vedere. Apro gli occhi adesso!» Tra i tanti personaggi "mascherati" di Pirandello, quello di Martino Lori è uno dei più violentati dalla propria maschera, costretto a rappresentare a sua insaputa tutte le parti della commedia: «E le ho rappresentate male! Sfido! Non sapevo di rappresentarle!»

La feroce presa di coscienza lo tramuta in un personaggio ambiguo, anfibio, sbalestrato, incapace di riappropriarsi della propria vita così come delle proprie maschere, costretto a una esistenza ormai sospesa, di uomo senza passato, senza presente né futuro.

Chiosa crudele il drammaturgo: «chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è».

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